Dopo aver vissuto grandi soddisfazioni in sella prima a Gaspahr e poi a Max van Lentz Schrans, Giampiero Garofalo (31 anni) ha vissuto una serie di cambiamenti importanti nella sua vita professionale, soprattutto il trasferimento insieme alla sua compagna Lisa Nooren (figlia del grande tecnico olandese Henk Nooren) presso l’importante scuderia Hendrix, in Olanda. Proprio in sella a un cavallo di tale scuderia, Querido van het Ruytershof (Bwp nato nel 2016 da Mosito van het Hellehof x Otangelo), Giampiero Garofalo ha colto ieri un bellissimo 3° posto nel Gran Premio dello Csi a quattro stelle di Valkenswaard.
Questi ultimi due anni sono stati di cambiamento per lei con il ritiro dalle competizioni di Gaspahr, la vendita di Max van Lentz Schrans e il trasferimento presso la scuderia Hendrix insieme alla sua compagna Lisa Nooren: ci parli della sua nuova organizzazione.
«Ci siamo trasferiti a marzo dell’anno scorso. Lisa e io abbiamo avuto una buona opportunità e abbiamo deciso di coglierla. La scuderia Hendrix ci ha affidato un gruppo di cavalli molto promettenti. Purtroppo all’inizio dell’anno abbiamo dovuto ritirare Gaspahr perché non è mai rientrato al 100% dopo l’infortunio. Avevo un buon cavallo di 8 anni, ma è stato venduto a fine dello scorso anno. Ci sono stati diversi cambiamenti ed ora stiamo cercando di ricostruire un buon parco cavalli per tornare a essere competitivi anche ai livelli più alti. Fa parte del nostro lavoro: si organizza un buon gruppo di cavalli, poi alcuni vengono venduti mentre altri vengono portati avanti».
Come immagina il suo prossimo biennio sportivo? Quali sono le prospettive future?
«I cavalli di 8 e 9 anni che sto montando entro la fine dell’anno dovrebbero raggiungere un buon livello. Fortunatamente non lavoro solo con cavalli giovani, che ovviamente richiedono pazienza e tempo per crescere, e sono circondato da persone che condividono il mio stesso obiettivo: restare nel circuito che va dai tre ai cinque stelle. Penso che entro la fine anno dovremmo riuscire a rientrare nei concorsi a cinque stelle».
Quali sono i cavalli che considera più promettenti?
«Di certo Querido van het Ruytershof, cavallo di 9 anni con il quale ho iniziato a lavorare da pochissimo, prima lo montava Lisa. Penso che sia un soggetto molto promettente, ha già ottenuto due buoni risultati in Gran Premio per cui su di lui punto molto. Poi ho un’altra cavalla di 10 anni che era rimasta un po’ indietro con il lavoro, ma ha comunque saltato qualche Gran Premio tre stelle 155. Inoltre ho due cavalli di 9 anni che stanno affrontando ora le prime gare ranking 145 e mi stanno dando delle ottime sensazioni. Insomma, ho un gruppo di quattro cavalli tra gli 8 e 10 anni abbastanza competitivo. Poi la scuderia Hendrix è organizzata molto bene: c’è un gruppo di cavalieri che si dedicano solo ai cavalli dai 4 ai 6 anni e, alla fine dei 6 anni, quelli più promettenti passano nella nostra scuderia. Con cavalli giovani ci vuole sempre un po’ di tempo, non andiamo mai di fretta. C’è un buon gruppo di cavalli di 6 anni al momento; però, essendo per l’appunto giovani, bisogna aspettarli un po’. Non ne ho tanti per me ma sono tutti cavalli a cui tengo molto e che mi lasciano ben sperare».
Come ha vissuto tutti questi cambiamenti? Il passaggio da Gaspahr e Max a questi cavalli relativamente giovani e un po’ inesperti è stato difficile per lei?
«No, non direi difficile. Sono comunque situazioni che fanno parte del nostro lavoro. Bisogna mettere in conto che ci sono dei periodi in cui ci si deve fermare e ricostruire il parco cavalli, cosa che anzi mi piace, mi motiva per andare avanti con nuovi stimoli. Certo, se potessi avere due o tre cavalli che mi permettessero di restare sempre nel circuito dei cinque stelle sarei ancora più felice, ma non mi lamento. Lavoro con persone fantastiche che stimo molto e che mi fanno sentire apprezzato. Penso che in questo momento sia la cosa più importante».
Qual è la principale differenza nel lavorare quotidianamente in una realtà come quella di Stal Hendrix rispetto a prima?
«Prima avevamo in gestione una scuderia ed eravamo completamente autonomi, anche nell’organizzazione degli aspetti commerciali. Pensavamo a tutto noi, dal trovare i clienti a gestire i cavalli, quindi non era affatto semplice, soprattutto per Lisa che non riusciva mai a dedicarsi solo all’agonismo per poter tornare ad un buon livello. Era più complicato organizzare tutto. Adesso, invece, la parte del commercio ci viene più facile perché gli Hendrix hanno tantissimi contatti e si occupano loro di questa fase, in modo tale che noi possiamo concentrarci solo sul lavoro dei nostri cavalli. Non è stato un cambiamento difficile, anzi, questo passaggio ci ha aiutato».
Il suo approccio quotidiano nel lavorare i cavalli rispetto a quando montava Gaspahr e Max com’è cambiato? Anche sotto il punto di vista del programma concorsi.
«Durante il periodo di Max e Gaspahr ho avuto la possibilità di far parte della squadra italiana e quindi di partecipare a Coppe delle Nazioni e concorsi a cinque stelle. Oggi, invece, avendo un gruppo di cavalli più giovani devo fare un programma che si basa sulla loro crescita».
Vivendo all’estero da tanto tempo si sente lontano dall’ambiente italiano? C’è qualcosa che le manca?
«Mi manca la mia famiglia che per quanto lontana fisicamente sento sempre molto vicino, ma non posso dire che mi manchi altro. Qui ho la fortuna di essere circondato da persone che mi vogliono bene e alle quali sono molto legato».
Ha mai pensato di tornare a vivere e lavorare in Italia?
«Alcuni anni fa c’è stato un momento di pausa fra un lavoro e l’altro quando ho avuto qualche dubbio e quindi l’idea di tornare in Italia. Poi, fortunatamente, ho incontrato persone che mi hanno dato fiducia e il dubbio si è dissolto. Penso che per i prossimi anni non tornerò in Italia, in futuro non lo so».
Cosa l’ha spinta a lasciare l’Italia?
«Avevo molta voglia di fare, di imparare e di cercare di diventare qualcuno. L’idea di andare all’estero un po’ mi spaventava, certo, ma ero arrivato a un punto in cui avevo fatto le mie esperienze in Italia e sentivo il bisogno di qualcosa in più. Ci sono stati momenti difficili, ma ce ne sarebbero stati anche in Italia. Alla fine, è l’ambizione che ti fa andare avanti».
Pensa che a oggi la sua equitazione sia cambiata lavorando con professionisti e tecnici provenienti da ambienti diversi?
«Assolutamente sì. Ho avuto la fortuna di lavorare con tante persone, anche in Italia, e ognuna di loro mi ha insegnato qualcosa. Del resto io sono sempre stato molto aperto: mi piace osservare, ascoltare opinioni diverse e imparare. Poi, certo, non sempre sono d’accordo su tutto, ma cerco comunque di tenere gli occhi aperti e cogliere quello che può aiutarmi a crescere. Alla fine, nel nostro lavoro non si smette mai di imparare. Ognuno ha il suo modo di fare e credo davvero che si possa imparare ovunque. La Young Riders Academy, però, è stata una svolta importante. Ho avuto la fortuna di lavorare con Marco Kutscher, che mi ha dato una base solida su cui costruire. E poi con Henk Nooren, un’altra esperienza preziosa. Insomma, ho avuto l’opportunità di confrontarmi con tanti professionisti e oggi, per tutto quello che riguarda la mia equitazione, devo ringraziarli tutti, perché ciascuno di loro mi ha dato qualcosa».
Se fosse rimasto in Italia, ad oggi, avrebbe avuto lo stesso modo di vedere le cose e lavorare con cavalli?
«Magari l’avrei fatto in modo diverso. Ho avuto la fortuna di vedere e far parte di scuderie molto importanti, forse in Italia è un po’ diverso ma è difficile da dire, non saprei. Ad esempio, mio fratello è sempre rimasto in Italia e ha le sue idee e i suoi modi di fare ma, come si vede dai suoi risultati, lo fa più che bene».
Secondo lei, qual è la parte più difficile del costruire un binomio da zero? E qual è la sua soddisfazione in questo percorso?
«La mia soddisfazione più grande è vedere i cavalli giovani crescere giorno dopo giorno. Partire con loro da un punto, stabilire un obiettivo e raggiungerlo. Certo, a volte capita che qualche cavallo promettente venga venduto, ma anche quello è motivo d’orgoglio: è bello vederli fare bene con altri, sapendo che li hai cresciuti tu. Penso che siano proprio queste piccole cose, queste soddisfazioni quotidiane, a darti la forza e la voglia di andare avanti. È importante darsi degli obiettivi, anche piccoli, perché ogni volta che ne raggiungi uno è una grande gratificazione. E poi, la cosa più importante resta sempre riuscire a creare un buon feeling con i cavalli che monti. Con alcuni è più immediato, con altri serve tempo per capirli, ma anche questo fa parte del nostro lavoro».
C’è qualcosa che manca nell’equitazione italiana a suo modo di vedere?
«Non saprei dare una risposta precisa, ma una cosa è certa: abbiamo cavalieri che non hanno nulla da invidiare a quelli delle altre nazioni. E oggi, guardando i cavalli di Emilio Bicocchi, Paolo Paini e Fabio Brotto, cavalli nati e cresciuti in Italia, penso che anche il livello del nostro allevamento stia crescendo molto».